L’affermazione “come non li avete mai visti”, non per forza intesa nella sua accezione iperbolica e positiva, rappresenta più che altro una semplice e banale constatazione che, chi ha avuto la fortuna di cavalcare i nineties nel periodo della propria adolescenza e a stretto contatto con la produzione culturale a essa dedicata, non ha potuto non fare. Diversamente dalle recenti pratiche di copiaincolla che hanno visto gli anni Ottanta e i Duemila letteralmente saccheggiati delle loro formule narrative, dei loro stili e delle loro pulsioni socioculturali, con un atteggiamento tra il reverenziale e il feticista, si può dire che l’universo giovanile degli anni Novanta, estremamente lacunoso e spesso trasfigurato, ha rivelato l’impossibilità di essere precisamente replicato e autenticato.

Ciò che è a posteriori è diventato osservabile, infatti, è che durante i maledetti anni Novanta gli adolescenti non abbiano mai davvero calcato i set televisivi e quelli che abbiamo visto, o che allora abbiamo creduto di vedere, fossero in realtà ultracorpi, trentenni agghindati come adolescenti e plasmati per rispondere alle impellenti esigenze moralizzatrici degli adulti che ci volevano belli e dannati ma anche molto coscienziosi.

A quei tempi, chi fossero quei falsi adolescenti sullo schermo, non volevamo nemmeno saperlo – dopotutto ci raccontavano che avremmo avuto tantissimo tempo per goderci la nostra adolescenza, aprendo la stagione a un giovanilismo aumentato ed esasperato che ancora oggi ci portiamo irrimediabilmente appresso – o forse condividevamo l’idea che i nostri coetanei, quelli veri, con il volto deturpato dall’acne e dalle droghe sintetiche, dovessero ripararsi tra le luci soffuse e i rumori assordanti delle discoteche, dove i problemi (segreti esclusivi e inclusivi) si affrontavano dimenticandosene, facendo sesso con sconosciuti e rischiando la vita “un quarto di miglio alla volta”.

Quegli anni Novanta e quei giovanissimi e giovinastri sono stati raccontati – molto poco a dire il vero – solo al cinema: Belli e Dannati (Gus Van Sant, 1991), Singles (Cameron Crowe, 1992), Clerks (Kevin Smith, 1994), L’Odio (Mathieu Kassovitz, 1995), Kids¬¬ (Larry Clark, 1995), Ritorno dal Nulla (Scott Kalvert, 1995), Gummo (Harmony Korine, 1997) e la trilogia “teen apocalypse” di Gregg Araki con Totally Fucked Up (1993), Doom Generation (1995) ed Ecstasy Generation (1997), film che senza troppi peli sulla lingua rivelavano una gioventù conturbante ed esecrabile. D’altra parte, perciò, la televisione ha provato a “rimettere in riga” gli adolescenti di tutto in mondo – in maniera forse ridicola e inappropriata – propinando una versione eccessivamente edulcorata della Generazione X, young adults travestiti da teenagers tanto responsabili quanto del tutto irresponsivi: prima con Beverly Hills 90210 e poi – nei vari “aggiustamenti” e declinazioni di genere e tono, per restare all’interno del dramma liceale – con Dawson’s Creek, Roswell, Sweet Valley High etc… cui fa gradita eccezione la ben più coraggiosa e originale Buffy the Vampire Slayer. Se esiste una versione televisiva attendibile del fenomeno adolescenziale anni Novanta questa può essere rintracciata nella serie – mai giunta in Italia e cancellata in patria il tempo di rendersi conto che stava “restituendo” troppo – My So-Called Life (1994), teen drama dal retrogusto dolceamaro interpretato da due giovanissimi Claire Danes e Jared Leto. Recuperatela.

A questo punto qualcuno si starà chiedendo cosa c’entri tutto questo con Everything Sucks!, serie creata da Ben York Jones e Michael Mohanda da poco sbarcata su Netflix che sta riscuotendo più curiosità che successo (dove la curiosità consiste nello scoprire cosa e quanto degli anni Novanta ci sia all’interno). Considerato che non si tratta di un puro teen drama – per minutaggio episodico e flessibilità di genere si situa in prossimità della comedy – Everything Sucks! non pare voler davvero affrontare, pur integrandole, le problematiche adolescenziali. Tuttavia, nel raccontare il passaggio dalla pubertà all’adolescenza, e quindi nel tracciare i primi abbozzi di identità (sessuale e sociale), la serie ha senz’altro il merito di restituire ai protagonisti stessi quei dubbi e quegli errori che, in precedenza, erano stati spostati altrove, delegati ad altri – in Beverly Hills 90210 erano sempre le comparse o i personaggi temporanei a subire il dramma irrisolvibile e/o ineluttabile.

Everything Sucks! sembra far sua la dichiarazione di tozziana memoria “gli altri siamo noi” e allestisce un piccolo universo fatto di rapporti (famigliari e amorosi) complicati, fasi di moratoria incrociate e acquisizioni identitarie che i teen drama anni Novanta avevano drasticamente appiattito (quando non del tutto annullato). Il clima resta molto leggero e, a tratti, surreale – come capita sovente alle serie tv che fanno un balzo indietro o in avanti nel tempo – ma le intuizioni sono buone e le vicissitudini dei personaggi piuttosto plausibili, tanto che ci si abitua presto alla regia un po’ dilettantesca e alle soluzioni narrative naif, quelle sì pienamente anni Novanta…



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